28 Agosto 2008 - Conferenza stampa
"Achilles to kame (Achilles and the Tortoise)"
Intervista al regista e al cast.
di Andrea Gerolamo D'Addio

A Venezia, Takeshi Kitano viene accompagnato dall'attrice Kanako Higuchi (è sua moglie nel film) e dal produttore Masayuki Mori per presentare il suo film "Achille e la tartaruga". E' il terzo anno consecutivo che il regista di Hana-bi (Leone d'oro 1997) presenta una pellicola al Lido, finendo proprio quest'anno quella trilogia del grottesco e dell'artista iniziata con Takeshi's. Logicamente quasi tutte le domande della conferenza stampa sono per lui, e lui come al solito non fa mancare il suo surreale senso dell'umorismo. Il più delle volte non risponde direttamente alle domande, ma parte con i suoi pensieri in divagazioni non richieste, ma comunque interessanti. Che i suoi personaggi sempre più strambi non stiano facendo capolino anche nella realtà?

Terzo anno consecutivo a Venezia…
Takeshi Kitano: Venezia ormai è diventata parte del mio programma personale. Fatalità finisco un film proprio in concomitanza col festival. Ma voglio anche aggiungere che è molto difficile essere selezionati a Venezia, vi assicuro che non ho pagato nessuno.

Con Achille e la tartaruga si chiude una trilogia molto autobiografica…
Takeshi Kitano: Dopo il cinema e la televisione, ora rifletto sulla mia terza passione: la produzione artistica. Ho sempre amato dipingere, e tuttora lo faccio. Come avrete potuto leggere nei titoli di coda i dipinti che appaiono sono miei. Non ne vado comunque fiero.

E cosa ne fa di quei dipinti?
Takeshi Kitano: Normalmente li regalo ai miei amici, nessuno pensa che abbiano valore. Per il film ho chiesto loro di prestarmeli. Avrei preferito utilizzare degli autentici Van Gogh, Matisse e Mirò, ma sarebbe costato troppo e così mi sono accontentato di ciò che avevo già realizzato io sperando che apparisse interessante mostrarli anche se non sono che copie.

Differentemente dalle sue ultime produzioni qui il film ha una narrazione piuttosto lineare, priva di flashback o altro…
Takeshi Kitano: Sì, questa volta sono andato semplicemente dall'inizio alla fine. Mi interessava seguire l'arco di vita del protagonista, il che comporta il prendere atto di una concezione lineare del tempo. Una cosa solitamente non presente negli altri miei film, dove non tengo assolutamente conto del tempo naturale.

Sono molti i temi che emergono dalla pellicola. Su tutti questo rapporto ossessivo con l'arte…
Takeshi Kitano: Mi interessava rappresentare l'arte come una forma di droga, di dipendenza che porta alla morte, ma sono convinto che l'arte non sia così sul serio e che un artista non debba compiere l'estremo sacrificio, il suicidio. Per contrasto ho utilizzato nella messa in scena una predominante di giallo, che è possibile trovare in molti dei quadri, nelle fiamme dell'incendio finale, nei girasoli, nel becco delle galline dipinte da Machisu. Avrei potuto chiamare in causa un altro animale giallo, invece della gallina utilizzare un canarino, ma la gallina mi ispirava di più, è qualcosa di domestico, ma non è un cane o un gatto.

A proposito del ruolo della moglie…
Kanako Higuchi: Quando ho letto la sceneggiatura ho pensato che non mi si sarebbe mai offerto più un ruolo del genere. Quella della moglie sempre obbediente è sicuramente una parte molto particolare, e proprio per questo interessante. Non potevo rifiutarla.

Finita questa trilogia, di cosa sarà ancora capace Kitano?
Masayuki Mori: Difficile dirlo, Kitano con questo film ha dimostrato di poter realizzare qualsiasi idea gli passi per la testa, di non avere vincoli. La sua creatività avrà certamente modo di trovare nuove strade da percorrere, per il momento ci godiamo questo film.
Takeshi Kitano: C'è stata un'epoca in cui guardavo con molta più preoccupazione la responsabilità di essere regista. Ora faccio un po' come mi pare, mi sento più libero.

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